Da dove riparte la sanità. Fra inclusione e territorialità, la nostra inchiesta

di Luca Amodio
foto di Giulia Barneschi

«Abbiamo la sanità migliore del mondo!», quante volte lo abbiamo udito in questi mesi. La mitologia del primato italiano nasce nel 2000, quando il World Health Report dell’OMS assegnava al Belpaese il secondo posto. Subito dopo la Francia. Al di là delle critiche mosse verso il documento per le tante leggerezze e imprecisioni c’è un problema di fondo. Sono passati più di 20 anni.

Due decenni in cui la spesa per la sanità pubblica è, sì, aumentata ma in termini nominali e non reali. Insomma, tagli su tagli possiamo dire. Inoltre molti servizi legati al SSN sono stati esternalizzati in ambiti privati cosicché diventassero accessibili soltanto a certe fasce relativamente abbienti. Machiavelli diceva che l’arte di governare significa evitare che un fiume esondi quando è piena, costruendo canali e dighe in tempi quieti. Questo non è stato fatto. Ma i problemi non sono venuti a galla con la pandemia. Semmai il Covid ha generalizzato il problema. Ed ecco che certe operazioni di rintoppo last minute, in tempi emergenziali, si sono rivelate improvvisate e inconsistenze proprio per la mancanza di un effettivo sub strato. Senza fatalismo, è arrivato il momento di rimboccarsi le mani e con occhio lungimirante andare a costruire la Sanità di domani. Seppur consci che non possa prescindere dall’idea originaria di Tina Anselmi che la concepì nel nostro paese: Il diritto alla Salute deve prendersi carico anche degli ultimi. 

Nel momento in cui stiamo scrivendo una notifica del «Corriere della Sera» segnala «Covid, in Italia scendono l’incidenza e l’indice contagi Rt». Forse anche questa ondata è passata. Ma un mese fa il Paese era nel caos. Impennata di contagi, tracciamento lasciato spesso al buon senso degli autoisolamenti, tamponi rapidi che non si trovavano. Anche in Valdichiana la situazione non era così diversa. Perlopiù ad allarmare la situazione c’è stato il problema dei vari turnover dei medici di famiglia visti i pensionamenti nella zona che hanno lasciato disorientate alcune fasce della popolazione. Il giorno di San Silvestro, il Sindaco di Marciano della Chiana, Maria de Palma in una diretta facebook affermava di essere intervenuta direttamente segnalando il problema alle autorità competenti. 

A metà Gennaio il sostituto del dottor Lucioli è arrivato ma focalizzarsi sull’albero rischia di farci perdere lo sguardo sulla foresta. Nel 2018 i medici di famiglia in Valdichiana erano 36. A 4 anni di distanza, con una pandemia di mezzo, sono scesi a 29. Com’è possibile tutto ciò? A risponderci è Manuela Giotti, neo direttrice di zona Valdichiana Aretina (foto nella pagina seguente): «La spiegazione è abbastanza banale: lo scorso novembre è stata bandita la zona carente ma nessuno si è presentato. Verso marzo aprile procederemo con un nuovo bando ma i medici non si trovano. Seppur sia vero che ultimamente ci sia un rinnovato interesse verso la medicina generale, a mio avviso, a causa dei posti chiusi i neo medici sono sempre meno. Pensiamo che abbiamo avuto difficoltà anche nel reclutamento nelle USCA (Unità Speciali di Continuità Assistenziale volte all’assistenza pazienti Covid), soprattutto in questo secondo periodo pandemico in cui molti professionisti hanno scelto di proseguire verso altre specializzazioni». 

A fronte della situazione, l’arrivo di rinforzi rimane però incerta, almeno nella effettiva consistenza «3 forse, 4 mentre per infermieri, da quel che so parlando con il dirigente infermieristico, dovrebbe arrivare qualche unità in più, ma tengo a precisare che sono numeri che potrebbero variare. Comunque, a Castiglion Fiorentino è già stata bandita la zona carente e dovrebbe esserci già una persona».

In attesa delle nuove leve, la sanità anche in Valdichiana dovrà affrontare due sfide in questo 2022. Da una parte c’è ancora il Covid, con la corsa contro il tempo per la somministrazione delle dosi booster che ha subito una netta accelerata con la ricollocazione dell’hub vaccinale alla palestra Berrettini Pancrazi di Camucia, già utilizzata lo scorso inverno «Alla casa della salute di Camucia eravamo fermi sulle 100 somministrazioni al giorno, adesso ne facciamo 500. Perlopiù vorrei evidenziare che a Castiglion Fiorentino è stato allestito un punto vaccinazione pediatrico per i bambini dai 5 agli 11 anni», dice la direttrice. Dall’altra parte c’è la sfida forse più importante, quella di lungo termine: il PNRR. 

Alla Regione Toscana, sulla base della ripartizione nazionale dei fondi stanziati dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza per la Sanità, arriveranno 173,5 milioni, più 20 milioni di fondi complementari regionali. Gli interventi, verranno definiti dalle aziende sanitarie locali di concerto con le istituzioni del territorio quali sono Anci e le conferenze zonali così da realizzare strutture per un «nuovo modello organizzativo della rete di assistenza sanitaria e territoriale». Venendo alla nostra provincia, i progetti previsti riguarderanno sette case della comunità (2 ad Arezzo, 1 a San Giovanni, 1 a Sansepolcro, 1 a Bibbiena, 1 a Terranuova e 1 a Castiglion Fiorentino), tre ospedali di comunità (Arezzo, Foiano e Cavriglia) e tre centralioperative territoriali (Arezzo, Cortona, Monterchi). Come sottolinea la Direttrice, «la lezione del Covid è questa: senza il territorio non si va da nessuna parte. 

L’utente deve rivolgersi in primo luogo al territorio». Insomma sarà questa la pietra angolare sulla quale verrà eretta la sanità di domani. Ma la lezione viene in verità da lontano. A Castiglion Fiorentino, nacque probabilmente la prima casa della Salute. Il modello venne pensato da Bruno Benigni, ex assessore alla sanità della Regione Toscana, affinché queste nuove strutture raccogliessero in un unico edificio i medici di famiglia, i pediatri, i punti prelievi, gli specialisti, la guardia medica, il punto prelievi altrimenti dispersi qua e là in tutto il territorio comunale. E per l’appunto, per la struttura castiglionese ci sono importanti novità, «Grazie a questi fondi, la casa della Casa della Salute di Castiglion Fiorentino che sarà la maggiore interessata dai finanziamenti diventerà l’hub della zona con modifiche strutturali interne. Per quella che verrà rinominata «casa della comunità» diverrà quindi una struttura dove il cittadino troverà il primo punto per una prima risposta alle sue necessità. Come ci ha insegnato il covid non si può andare tutti al pronto soccorso per una banalità».

 

Nuovo nome anche per la casa della salute di Camucia che verrà ribattezzata «centrale operativa, «La casa della Salute di Camucia, oltre alle manutenzioni interne come imbiancature ecc, vedrà l’ingresso della COT, Centrale Operativa Ospedale Territorio. Questo è un punto alquanto importante: è evidente che se c’è una relazione forte e stretta con l’ospedale di territorio la sanità funziona, se si dividono queste due grosse fette non si arriva a niente. Nel concreto avremo cinque punti con infermieri più una di coordinazione». Cosa cambia per il cittadino? «Ad esempio: se si viene ricoverati in ospedale, prima di essere rimandati al proprio domicilio senza alcuna guida, una parte intermedia di degenza potrebbe essere presa in carico da queste strutture».

E veniamo ora all’ospedale della Fratta, spesso al centro di aspre polemiche politiche e tecniche e anche per questo svalutato da gran parte dell’opinione pubblica. La necessità di un rilancio appare un’esigenza primaria ma la direttrice tende a smussare la cattiva nomea della struttura, «Premetto che ricopro questo incarico da due mesi ma ricordiamoci che alcuni servizi sono stati, sì, ridotti, ma ne sono stati resi altri come 24 posti per le cure intermedie del Covid; inoltre alcuni servizi come la chirurgia sono rimesti in auge nell’ultimo periodo. Penso che ci siano ottime prospettive». 

Avvicinandosi alla conclusione andiamo a rispolverare una nostra inchiesta pubblicata su questo giornale nel lontanissimo 2018. Allora appurammo che la maggior parte delle risorse della sanità pubblica vengono allocate nella cura di malattie croniche che, considerato il trend demografico del nostro paese, sarebbero ben presto divenute una spesa insostenibile. Evidenziammo la prevenzione come unica strada da percorrere. Ma in 4 anni è cambiato tutto e allora ci chiediamo: è ancora possibile parlare di prevenzione in un contesto pandemico? «Non dico che in questi due anni ci si sia occupati esclusivamente di pandemia, ma sicuramente è stato il primo piano e abbiamo visto le ripercussioni nella malattie cardiovascolari e nei tumori. Dobbiamo inevitabilmente riprendere la sanità di iniziativa con i medici di famiglia che invitano i pazienti a fare screening per diabete e pressione, insomma, deve essere il medico che chiede al paziente, non viceversa così da prevenire questa o quest’altra malattia. Tutto ciò in questo contesto pandemico è venuto a meno».