Qualche giorno fa abbiamo pubblicato sui nostri canali social un articolo di Massimo Pucci sulla carenza di musica dal vivo in provincia. Con molto piacere, pubblichiamo una lettera dì un nostro lettore sul tema 👇
“Ho letto con piacere e interesse quanto da lei pubblicato su SR71 riguardo alla musica dal vivo, nello specifico sulla situazione aretina. Arezzo e provincia pagano lo scotto pagato su tutto il territorio nazionale, purtroppo. La pandemia ha portato drammaticamente alla luce i problemi che si trascinano ormai da 40 anni. Colpa anche degli stessi addetti ai lavori, individualisti per natura, questo va detto.
Lei cita i locali storici del territorio e i pochi sopravvissuti. Quelli storici lo sono diventati perché da lì , grazie alla passione e alla competenza dei gestori, sono passati i musicisti, anche quelli sconosciuti ai più, che hanno contribuito in maniera determinante alle carriere dei big nazionali ed internazionali. Poteva accadere di assistere alla performance di un grande del jazz come Dave Liebman, a una di Ian Paice batterista dei Deep Purple, o dei musicisti di De Andrè, bere una birra insieme a un sorprendente Capossela. Oppure veder spiccare il volo ad artisti nostrani come i Negrita. Capitava che musicisti avviassero collaborazioni importanti per dischi o concerti con interpreti o cantautrici “tipo” Patty Smith, pare niente? Esisteva un “movimento”, come si suol dire. Spazi ce n’erano per tutti, dal professionista acclamato al dilettante talentuoso. I compensi, quelli dei piccoli locali, erano “pochi, sporchi e subito”. I contributi previdenziali? Anche no. I biglietti all’ingresso? Bastava la consumazione al tavolo. I gestori dei locali poi non dovevano districarsi tra SCIA, DURC, certificazioni di impatto acustico. Oggi già pagare la SIAE diventa antieconomico: e chi te lo fa fare?
C’erano e ci sono ancora istituzioni rispettabilissime, sempre meno a dir la verità: mi riferisco ai teatri, alle orchestre stabili costrette a chiudere per scellerate scelte politiche. Le amministrazioni locali fanno fatica a destinare risorse agli eventi culturali: non era un ministro della Repubblica che asseriva che con la cultura non si mangia? Anche le orchestre da ballo, prima che la deriva del playback le trasformasse quasi tutte in farsa, hanno permesso a bravi musicisti di vivere dignitosamente, persino di maturare una pensione.
Con la pandemia il castello di sabbia è rovinosamente crollato coinvolgendo, anche coloro che nel frattempo si erano costruiti solide fondamenta. Dischi non se ne vendono, concerti non se ne fanno o se ne fanno pochi, le visualizzazioni e gli accessi in streaming rimpolpano principalmente i soliti noti e le stesse piattaforme. Il “tutto gratis” è la causa e non la cura della malattia.
E’ anche vero che i tempi cambiano: le nuove generazioni sono figlie dei talent-shows che hanno quasi totalmente rimpiazzato la preziosa e paziente figura del talent-scout che batteva ogni piccolo locale alla ricerca dell’artista di talento. Imbracciare una chitarra non è più simbolo di ribellione giovanile, contano i likes sui social-networks.
Servirebbe un cambio di passo, anche culturale. Aumentare le ore di educazione musicale nelle scuole sarebbe di per se determinante per formare bambini, ragazzi e uomini migliori, in grado di elaborare in maniera autonoma e originale pensieri e decisioni: chi non suona con e per gli altri non suona neanche per se stesso.
In questo periodo di crisi pandemica le associazioni e organizzazioni del settore si sono date da fare evidenziando ciò che non va, elaborando e proponendo le possibili e necessarie soluzioni.
La palla, come sempre del resto, è nelle mani di chi governa ma non è un fatto rassicurante vista l’indifferenza dimostrata per decenni.
Se vede ancora qualche musicista suonare dal vivo (sottolineo dal vivo), lo sta facendo anche per rendere la vita migliore a chi lo sta ascoltando.
The answer, my friend, is blowin’ in the wind , cantava contro la guerra Dylan nel 1963, ci risiamo. Da grande avrei voluto vivere di musica. W la musica dal vivo.
Cordiali saluti.”
Simone Bruschi Foiano della Chiana.