“La popolazione sta morendo a causa del cambiamento climatico”. Il giovane castiglionese Riccardo Reggidori parte in missione in Kenya

di Emma Migliacci 

Riccardo è un giovane ragazzo di Castiglion Fiorentino, classe ’98, impegnato in un importante progetto umanitario che lo ha portato fino al villaggio di Nglai, nel nord del Kenya. È stato proprio lui, giovanissimo, ad aver scritto e ideato il progetto, di cui è coordinatore insieme a Guido Barindelli, professore dell’Università degli Studi di Milano Bicocca, con l’obiettivo di sostenere la popolazione locale.

La zona in questione, ci spiega Riccardo, è abitata dalla tribù Samburu, un popolo che vive sostanzialmente di pastorizia. Ad averlo portato qui è la condizione emergenziale che questa popolazione sta vivendo a causa del cambiamento climatico. Non piove più e queste zone sono diventate estremamente aride. «Prima nel villaggio passava un fiume, adesso c’è solo il suo letto asciutto», racconta.


Senza acqua il bestiame muore e questo, per una tribù di pastori, significa non essere più in grado di autosostenersi. O si muore di fame o si emigra nelle città, dove si va a vivere negli slums, delle vere e proprie baraccopoli, in condizioni comunque difficili.
Il progetto che Riccardo ci racconta nasce dalla volontà di aiutare queste popolazioni a combattere le carestie e le pessime condizioni di vita attraverso l’introduzione dell’agricoltura come mezzo di sussistenza, rinforzando così il sostentamento alimentare di queste comunità. Questo è l’obiettivo del progetto.

La prima fase dei lavori si è già conclusa: sono stati messi in funzione un pozzo, alimentato ad energia solare, e un impianto di irrigazione. Ad oggi sono in corso i lavori per la preparazione agricola, che prevedono la costruzione di plots e di una greenhouse. «La prossima settimana inizierà la formazione agricola. Questa necessita di un impegno e di una presenza costante sul territorio. Per il raggiungimento di questo obiettivo, ho realizzato una collaborazione con Slow Food Kenya.» ci informa Riccardo.

Un progetto, questo, scritto e portato avanti dal giovane castiglionese, insieme alla Caritas della diocesi di Maral e alla Missione di Wamba. Ma come è nato tutto? Riccardo ci racconta: «È stata la diocesi ad avermi segnalato il grande problema della siccità che porta alla morte del bestiame. Insieme ai missionari ho analizzato la situazione: l’anno scorso ho condotto uno studio sui campi, e proprio da questo studio è nato il progetto. Ho poi cercato dei donatori che potessero sostenerlo: le o.n.l.u.s. Gruppo missionario di Sololo, di cui faccio parte, e un Pozzo per la Vita hanno stanziato i fondi per il progetto.»

«In Italia ci lamentiamo della presenza dei migranti, ma non si pensa mai effettivamente a cosa si può fare per aiutarli. Questo è un progetto che va invece proprio in questa direzione».
Quali sono, a questo punto, le prospettive future? Riccardo ci dice che il lavoro fatto fino ad oggi deve essere un punto si partenza. «Questo è un progetto pilota: nel centro nord del Kenya praticamente nessuno coltiva. Se questo progetto riuscirà nei suoi obiettivi, il prossimo passo sarà quello di creare una serie di orti comunitari nel deserto del Chalbi: creare orti in una zona desertica per sostenere le comunità.»

Riccardo vuole anche rispondere alla più comune accusa che si sente rivolgere, che talvolta è travestita da semplice domanda, posta spesso con tono piccato: “perché andare fino in Kenya quando ci sono tanti poveri anche qui in Italia?”. «La cosa importante da capire è che bisogna aiutare tutti, indipendentemente da dove vivono. Fare una gerarchia dell’aiuto porta ad individuare sempre qualcuno che dovrebbe essere aiutato prima e si finisce per non aiutare mai nessuno».