La rassegna d’arte contemporanea “Corpi di luce”, voluta dalComune di Marciano della Chiana, dall’Assessore alla cultura Gionata Salvietti, e curata da Lucrezia Lombardo e Josip Miskovic, prosegue con la terza mostra, dedicata, questa volta, al pittore giapponese Tetsuji Endo, le cui opere reinterpretano la tradizione orientale, fondendola con quella classica.
La mostra “Velata materia” verrà inaugurata il 10 settembre, alle ore 18:00, presso il Museo della Rocca di Marciano della Chiana (ingresso libero) e proseguirà fino al 2 ottobre. Ad accompagnare l’opening saranno un reading poetico dedicato agli Haiku, tipici componimenti giapponesi nati nel XVII secolo, e una performance, eseguita dall’artista in persona, di Kenjutsu scuola Katori.
Tetsuji Endo nasce a Chiba, in Giappone, e si laurea presso la prestigiosa Università d’arte “Musashino bijutsu Daigaku” di Tokyo, specializzandosi in pittura ad olio. Ha lavorato quindi come pittore scenografo presso il “Teatro Shinbashi” e il “Teatro Nazionale Giapponese” di Tokyo. Questa formazione, unita allo studio della pittura italiana che l’artista ha approfondito trasferendosi nel nostro paese, rendono la ricerca di Endoassolutamente originale e caratterizzata da profondi simbolismi, che si richiamano alla tradizione metafisico-esoterica di provenienza pitagorica, ermetica e indiana. E, tuttavia, tali riferimenti non intendono delineare le coordinate teoriche di una specifica dottrina, bensì costituiscono la manifestazione di un substrato culturale che usa le immagini come via di meditazione e d’ispirazione, suscitando nel fruitore interrogativi. Lo scopo della pittura di Endo, forse, è proprio quello di scardinare le coordinate della percezione ordinaria, delineando vie d’accesso divergenti all’esperienza che proprio delle immagini si serve, per conferire un nuovo aspetto al reale. Il titolo della mostra, “Velata materia”, intende dunque sottolineare uno degli aspetti principali della ricerca dell’artista: fare della forma, e della matericità chiaroscurata della china applicata su carta invecchiata, la via d’accesso a manifestazioni oniriche, che spalancano verità più profonde rispetto alla veglia. Nell’opera “Labirinto”, per esempio, l’artista immortala uno dei soggetti privilegiati della pittura d’ogni tempo -da Picasso ad Escher- per sondare gli universi profondi dell’inconscio, raffigurandoli sotto forma di cunicoli, corsi d’acqua e strade che s’intrecciano e si sorpassano. Il simbolismo è pertanto uno degli elementi che maggiormente ricorrono nelle chine di Endo, in cui “gli arcani” si alternano a soggetti naturalistici, come alberi e animali, che vengono immortalati frontalmente e decontestualizzati dal loro ambiente d’origine. Nell’accuratezza dei dettagli e nella precisione del tratto di Endo si riscontra, difatti, la medesima precisione dell’erborista, intento a preparare misture curative, o dello studioso di zoologia, concentrato su ogni singolo dettaglio dell’anatomia animale. La cura meticolosa dei particolari, in qualche modo manieristica, e la parallela osservazione “sotto lente” del reale, rendono l’opera di Tetsuji vicina a quella di Leonardo da Vinci: ciò che in particolare riecheggia sulle tele invecchiate del pittore giapponese, è il disegno leonardesco e lo studio dei corpi e dei volti. La ricerca di Endo si fa, così, tentativo di creare un’armonia tra l’uomo e la dimensione originaria, dalla quale la vita scaturisce. Il classicismo, articolato mediante richiami naturalistici, dà origine ad un’arte ibrida ed elegante, “sur-iper-realista”, che si spoglia del colore, per consegnare al pubblico unicamente l’afflato di una forma curata nei dettaglia ma lieve, decontestualizzata e popolata di significati da decifrare nell’articolato paesaggio che viene messo in scena. Proprio l’aspetto del “mettere in scena” è, del resto, un chiaro richiamo alla formazione scenografica del pittore, che ha saputo “portare il teatro sulla tela”. Come gli Haiku, le opere di Endo possiedono un profondo substrato filosofico, che si esprime in forme minimali e complesse al contempo, poiché, dietro ad ogni soggetto rappresentato, si celano significati da decifrare. Inserendosi nel vivo della tradizione orientale, che s’interroga sul significato dell’esistenza, le chine di Tetsuji si caratterizzano quindi proprio per l’attesa: il fruitore, che s’imbatte in esse, non può aver fretta, ma viene letteralmente catturato da ogni singola opera nel tentativo di penetrare e comprendere l’interezza dei richiami ivi immortalati.