Materie leggereè la quarta e ultima mostra della rassegna d’arte contemporanea “Corpi di luce”, curata da Lucrezia Lombardo e Josip Miskovic e patrocinata dal Comune di Marciano della Chiana. La rassegna ha infatti animato il Museo della Rocca, popolandolo di opere di livello internazionale.
L’esposizione conclusiva è dedicata all’artista Dina Cangi e s’inaugurerà il prossimo 29 ottobre, alle ore 18.00, presso il Museo della Rocca di Marciano della Chiana (Arezzo).
In occasione dell’inaugurazione si svolgerà inoltre la performance, dedicata a “MADAME STEIN”, dell’autrice e artista Gea Testi. Scrive la Testi: “la Stein è molto grossa ma non alta; è di costituzione robusta come una bracciante. Ha gli occhi belli e un viso dai lineamenti forti, ricorda una contadina dell’Italia del nord con i suoi vestiti, la sua faccia mobile e la sua graziosa, folta, vivace capigliatura da immigrata che porta raccolta. Parla in continuazione e prima di tutto parla di gente e di luoghi”. La performance dell’autrice aretina animerà così la serata inaugurale, offrendo al pubblico una profonda e piacevole occasione di riflessione e un viaggio letterario.
Pittrice sapiente, Dina Cangi ha alle spalle un centinaio di esposizioni in Italia e all’estero e ha lavorato, oltre che nel nostro paese, a Berlino, Dusseldorf, Regensburg (Germania), ad Atlanta (USA) e a Gent (Belgio), riscuotendo un notevole successo.
Il titolo dell’esposizione –Materie leggere– si rifà alla poetica dell’autrice, che sulla tela traspone i propri vissuti e le esperienze intellettuali, attraverso una rara maestria nell’uso del colore e di tecniche miste, tali da conferire ai lavori uno spessore tridimensionale. I cromatismi divengono, così, specchi nei quali il fruitore si riflette, sondando il mistero della materia e la sua alchimia visibile. Eppure, la materialità a cui Cangi mette mano, lavorandola, mischiandola e manipolandola, resta leggera e si dissolve in toni di luce, evocativi di una ricerca che è contemplazione.
La concettualità delle tele informali diviene, perciò, un percorso introspettivo in cui il fruitore ritrova se stesso, lasciandosi trasportare dalla forza folgorante delle sagome in ombra e delle forme dissolte, emblematiche, che Cangi crea. Questo tipo di pittura sceglie tuttavia di essere perennemente in evoluzione, difatti, nel percorso artistico di Cangi si sono succedute molteplici forme espressive, che hanno spaziato dallo stile informale, sino al figurativo “nella stagione dei cieli”, o nella più recente “stagione astronomica”, nella quale l’autrice utilizza il colore per indagare le leggi fisiche, alla maniera di uno scienziato che osserva i fenomeni con una lente d’ingrandimento.
Lo sguardo verso la volta celeste diviene quindi una discesa nell’anima, come se, tra i due orizzonti, vi fosse una simbiosi: l’altezza delle nebulose e la loro invisibile struttura, è analoga a quella intimistica della psiche umana.
La mostra ha voluto raccogliere gran parte delle opere di Cangi appartenenti al “periodo del cromatismo aureo”, lavori in cui la ricerca della luce guida le linee, per dirigerle, ancora una volta, “verso l’alto”, come in un percorso ascensionale che è insieme pratico e mistico. Sulle tele, la pittrice riesce a dare la parola all’eternità, giocando come un fotografo con i priori scatti che, una volta immortalati, verranno sottratti allo scorrere del tempo. L’immobilismo dei dipinti divine perciò atmosfera: osservando i quadri, il fruitore s’immerge in una dimensione sovrumana, lasciandosi toccare da una luce che tutto vivifica, eppure, nemmeno l’approdo alla scomposizione della luce costituisce, per Cangi, un traguardo definitivo e le sue opere restano in divenire, aperte a nuove ed ulteriori sperimentazioni, trasmutando di continuo, come la vita.