Gestione illecita dei rifiuti: perquisita la Chimet, l’azienda: “tutto in regola”. L’indagine della Dda di Firenze


La Dda (Direzione distrettuale antimafia) di Firenze contesta all’azienda una gestione illecita di rifiuti. Secondo l’accusa si tratterebbe di rifiuti pericolosi che necessiterebbero di una procedura ad hoc. La replica dell’azienda, “sempre attribuito il codice corretto ai rfiuti”.

Perquisizioni in otto aziende dedite alla gestione di rifiuti pericolosi e non e in un laboratorio di analisi. Ispezioni, poi, in tre imprese di gestione speciale per verificare il ciclo produttivo. Lo ha spiegato in una nota la Direzione distrettuale antimafia di Firenze, diffusa – si spiega – a seguito del comunicato diramato il 30 maggio dalla Chimet. C’è anche il gigante di Badia al Pino, specializzato nel recupero di scarti di metalli preziosi, tra le realtà perquisite dai carabinieri del Noe (nucleo operativo ecologico) di Firenze. Sono quattro i vertici della prima azienda per fatturato in Toscana sotto indagine. Secondo l’accusa, sostenuta dal Pm Giulio Monferini, quei materiali sarebbero pericolosi, dunque da smaltire secondo altre, adeguate, procedure.

Tesi rigettata dall’azienda che sostiene che questi non siano pericolosi. “Si è trattato dell’ennesima verifica riguardante il codice attribuito al rifiuto risultante all’esito del processo di recupero dei metalli preziosi”, spiega Chimet in un comunicato. “Nello specifico, il controllo si è incentrato sul conferimento di tale rifiuto, ai fini del suo recupero, a un impianto del Viterbese che si è protratto, sotto il costante controllo di Arpa Toscana e Lazio, Regione Toscana e Regione Lazio, dal 2012 al 2021. L’azienda è fermamente convinta di aver sempre attribuito un corretto codice al rifiuto, in ciò confortata dai sistematici e approfonditi controlli cui è sempre stata sottoposta”.

L’inchiesta è partita dalle indagini sul Keu, che già aveva visto l’azienda di Civitella insieme alla Tca, sotto accusa per “traffico illecito” Stavolta si tratterebbe invece di un fascicolo a parte. La Procura ipotizza un illecito traffico di ingenti quantitativi di rifiuti speciali pericolosi: circa 84 mila tonnellate avviate al recupero e 12mila avviate allo smaltimento. Tra il maggio del 2012 e il maggio del 2023 quegli scarti sarebbero stati declassificati in rifiuti non pericolosi e così sarebbero stati avviati al recupero, fino al novembre 2021, in impianti “compiacenti” anche grazie alla predisposizione di documentazione ad hoc. E’ questa la tesi della Procura secondo cui le imprese compiacenti recuperavano gli scarti in maniera fittizia “facendo perdere lo status di rifiuto e la conseguente tracciabilità, mediante la produzione di aggregati riciclati non legati, commercializzati come materie prime e secondarie ad aziende,allo stato terze non indagate attive nel settore dell’edilizia”.

Un affare di almeno 21 milioni di euro, sempre secondo la Procura, derivante dal “risparmio economico ottenuto avviando il rifiuto di recupero con codice Eer non corretto, con enormi guadagni, ipotizzati in circa 5,7 milioni, anche per la filiera successiva, che grazie a tale escamotage si è garantita la ricezione di quei rifiuti, che avrebbero diversamente dovuto essere avviati ad impianti autorizzati”.